Navigazioni sorvegliate: il Garante privacy detta le regole per i controlli sui dipendenti

Aziende ed enti pubblici possono controllare la navigazione internet dei propri dipendenti, ma solo rispettando precise regole. Lo ha ribadito il Garante per la protezione dei dati personali con l’ingiunzione n. 243 del 29 aprile 2025, intervenendo su un caso che ha visto protagonista un ente pubblico, colpevole di aver conservato per un intero anno i log di navigazione dei propri dipendenti — inclusi i tentativi di accesso a siti inseriti in una black list — senza alcun accordo sindacale e senza adottare le garanzie previste dalla normativa.

La disciplina è chiara: i datori di lavoro, siano essi imprese o pubbliche amministrazioni, possono raccogliere e conservare i cosiddetti log di navigazione — ossia le registrazioni degli accessi a internet — solo in presenza di specifiche condizioni e garanzie. Tra queste, spicca l’obbligo di stipulare preventivamente un accordo con le rappresentanze sindacali ai sensi dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori (legge 300/1970), anche se i sindacati non sollevano obiezioni.

Inoltre, i log non possono essere conservati per più di 90 giorni, salvo anomalie di sicurezza o richieste specifiche dell’autorità giudiziaria. Superato questo termine, i dati devono essere anonimizzati o cancellati.

Le regole del Garante

Il Garante ha sottolineato che i controlli devono bilanciare la necessità di garantire la sicurezza informatica con il rispetto della riservatezza dei dipendenti. Non è infatti lecito schematizzare o profilare i lavoratori sulla base della loro attività in rete, anche quando questa sia solo tentata.

Per procedere legittimamente, le imprese devono:

  • Predisporre una valutazione d’impatto privacy (DPIA) ai sensi dell’articolo 35 del GDPR;
  • Stabilire un termine massimo di conservazione dei dati, fissato dal Garante in 90 giorni;
  • Sottoscrivere un accordo sindacale per l’attivazione di sistemi di controllo indiretto;
  • Limitare la possibilità di risalire all’identità del singolo dipendente, separando le informazioni tecniche dai dati personali.

Inoltre, l’identità del dipendente che utilizza un determinato dispositivo deve essere associata al log solo in casi di comprovata necessità e attraverso procedure graduali e controllate, sempre previa verifica a livello aggregato.

Tempi e modalità di conservazione

Anche la conservazione delle richieste di assistenza tecnica rivolte ai fornitori informatici deve essere limitata nel tempo. Nel caso specifico, il Garante ha ritenuto congruo un periodo massimo di 12 mesi.

Sono invece considerati strumenti di lavoro ordinari e quindi esclusi dall’obbligo di accordo sindacale i sistemi che bloccano automaticamente l’accesso a siti vietati senza però registrare i tentativi di connessione.

In ogni caso, le operazioni di verifica devono essere affidate a un numero ristretto di persone autorizzate e specificamente designate, con istruzioni precise sui rischi e le modalità di trattamento dei dati.

Il principio di proporzionalità

Il principio cardine, ribadisce il Garante, è quello di proporzionalità e minimizzazione: le attività di controllo devono essere strettamente necessarie, pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità di sicurezza informatica e buon andamento dei servizi.

In mancanza di accordo sindacale e adeguate garanzie, ogni trattamento di dati sui dipendenti rimane privo di base giuridica e rischia di esporsi a pesanti sanzioni amministrative, come accaduto nel caso in esame.


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IA generativa, UE: enorme potenziale, ma servono regole e investimenti

Secondo una nuova relazione scientifica del Centro comune di ricerca (JRC) della Commissione europea, l’intelligenza artificiale (IA) generativa potrebbe stimolare in modo significativo l’innovazione e la produttività in settori chiave dell’Unione, dall’assistenza sanitaria, all’istruzione, alle industrie culturali e creative. La relazione sulle prospettive evidenzia il potenziale trasformativo dell’IA generativa in termini di innovazione, produttività e cambiamento sociale. Ma sottolinea anche che il suo rapido sviluppo comporta rischi trasversali, tra cui l’amplificazione della misinformazione, distorsioni algoritmiche, perturbazioni del lavoro e problemi di privacy, che richiedono un’attenzione urgente.

Per sfruttare i vantaggi dell’IA generativa salvaguardando al contempo i diritti fondamentali, la relazione sottolinea la necessità di un approccio programmatico multidisciplinare e strategico. Viene richiesto inoltre uno stretto allineamento con le normative dell’Unione europea, quali il regolamento sull’IA e la legislazione sui dati, nonché con le politiche di innovazione dell’UE in materia di IA per garantire che la IA generativa rimanga affidabile, inclusiva e pienamente allineata ai valori democratici e alle leggi dell’UE.

Ekaterina Zaharieva, Commissaria per le Start-up, la ricerca e l’innovazione, ha dichiarato: “L’Europa ha il potenziale per assumere un ruolo guida nell’IA generativa. Con le politiche e gli investimenti giusti possiamo stimolare la competitività e l’innovazione. La consulenza scientifica indipendente aiuta l’Unione europea a beneficiare di una tecnologia complessa e rapida come l’IA generativa”.

La Commissione ha avviato una prima serie di opportunità di finanziamenti dell’Unione europea con quasi 700 milioni di € per integrare l’IA generativa in settori strategici europei quali l’industria manifatturiera, la robotica, la salute e l’energia. Ricercatori, innovatori, imprese industriali e altri soggetti candidati entreranno a far parte di GenAI4EU, l’iniziativa faro della Commissione per promuovere l’IA generativa “made in Europe”.

La relazione è disponibile online.


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Giustizia lumaca a Roma: udienze al Giudice di Pace fissate a tre anni e mezzo

Tre anni abbondanti per fissare un’udienza davanti al Giudice di Pace di Roma. È la rappresentazione plastica della crisi drammatica che affligge l’ufficio giudiziario della Capitale, dove il 9 giugno scorso un giudice della Terza Sezione Civile ha fissato l’udienza di comparizione delle parti al 10 ottobre del 2028. Una lentezza insostenibile nella definizione delle causa che spinge il Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, Paolo Nesta, a denunciare una situazione che non esita a definire di denegata giustizia.

“Nelle settimane scorse avevamo raccontato di una vicenda analoga a Busto Arsizio – spiega Nesta – oggi ci troviamo a descrivere la stessa situazione nella Capitale. Come dicevo all’epoca, il Giudice di Pace – prosegue Nesta  – rappresenta l’accesso primario alla giurisdizione per il cittadino. Ma è evidente che se il cittadino si trova dinanzi a una simile lentezza, facilmente rinuncia a chiedere la tutela dei propri diritti”.

A livello nazionale, i dati dell’ultimo monitoraggio confermano una scopertura degli organici dei Giudici di Pace del 63%, con punte che nelle grandi città raggiungono l’80%. A Roma, nonostante il recente insediamento di 16 nuovi Giudici di Pace, la situazione resta critica, con rinvii come quello denunciato dal COA della Capitale.

“Parliamo di un rinvio di tre anni solo per comparire davanti al giudice – conclude Nesta – non certo per la definizione della causa, che anzi di rinvio in rinvio rischia di trascinarsi per anni senza che il cittadino sappia come si concluderà la sua vicenda processuale”.

Di qui la denuncia del Presidente Nesta, che per l’ennesima volta lancia un appello alle istituzioni.  “Se la Giustizia non è più in grado di garantire risposte ai cittadini in tempi ragionevoli, come garantito dall’art. 111 della Costituzione, la Giustizia non è più tale ma diventa un mero esercizio burocratico fine a se stesso”.


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Domani è il Tax day: all’erario 42 miliardi. Altri 17 entro il 30 giugno

E’ in arrivo il primo ingorgo fiscale dell’anno. Anche se, in teoria, venerdì scorso abbiamo celebrato il giorno di liberazione fiscale, la realtà, purtroppo, è molto diversa e tutt’altro che rassicurante. Entro lunedì prossimo, infatti, i contribuenti italiani saranno chiamati a versare all’erario 42,3 miliardi di euro in tasse. Un importo, quest’ultimo, che secondo l’Ufficio studi della CGIA è certamente sottodimensionato, poiché non include il valore economico dei contributi previdenziali che dovranno essere pagati dalle imprese e dai lavoratori autonomi. In sostanza, tra poche ore, questa enorme responsabilità fiscale si concretizzerà senza possibilità di sconto. Considerando poi la cronica carenza di liquidità che affligge soprattutto il mondo delle piccole aziende, molti imprenditori hanno cerchiato sul calendario con il pennarello rosso sia il 16 che il 30 giugno: due scadenze fiscali che mettono “paura” e fanno “tremare” chiunque abbia a cuore la propria attività.

Entro domani, infatti, i titolari di impresa saranno chiamati a versare all’erario almeno 34 miliardi di euro, quasi la totalità del gettito totale previsto (l’80 per cento circa). Questa cifra assoluta in capo alle aziende comprende, in particolare, le ritenute Irpef sui lavoratori dipendenti e sui collaboratori familiari (14,4 miliardi), l’Iva (13,2), l’Imu (5) e le ritenute Irpef dei lavoratori autonomi (1,3). È fondamentale sottolineare che per le imprese il pagamento delle ritenute Irpef dei propri dipendenti e dell’Iva — importo stimato dalla CGIA in 27,5 miliardi di euro — rappresenta una mera partita di giro: nel caso delle ritenute Irpef, infatti, le aziende agiscono come sostituti d’imposta per conto dei propri lavoratori; riguardo all’Iva, invece, si tratta di somme già incassate in precedenza, ogni qual volta hanno ricevuto un pagamento dalla clientela a seguito dell’emissione di una fattura. Nonostante ciò, rimane il solito problema della liquidità. Con tempi di pagamento tra le imprese private in costante aumento, tantissime attività sono a corto di liquidità, anche perché le banche, in particolare alle piccole imprese, continuano a erogare il credito con il contagocce. Questa situazione, se ancora ce ne fosse bisogno, dimostra con chiarezza la responsabilità cruciale che grava sulle imprese nel garantire il corretto flusso fiscale verso lo Stato.

  • Giugno è da sempre il mese delle tasse

Giugno e anche novembre sono da sempre i mesi delle tasse. E se la scadenza di dopodomani sta togliendo il sonno a molti contribuenti in preda alle difficoltà di reperire i soldi per onorare le richieste del fisco, anche la scadenza di lunedì 30 giugno sarà tra le più importanti dell’anno. Nonostante il Consiglio dei Ministri abbia opportunamente rinviato al 21 luglio prossimo e senza alcuna maggiorazione il pagamento dell’Ires, dell’Irap, dell’Irpef e delle addizionali Irpef ai forfetari e alle partite Iva soggette agli Indici Sintetici di Affidabilità (ISA), sempre secondo le stime dell’Ufficio studi della CGIA, nell’ultimo giorno di questo mese è previsto un gettito per l’erario di 17 miliardi di euro. Soldi che arriveranno dal pagamento dell’Ires (9,8 miliardi), dell’Irap (4,9), dell’Irpef (1,5) e delle addizionali regionali/comunali Irpef (0,9). In buona sostanza, dalle due scadenze previste in questo mese (lunedì 16 e lunedì 30), le casse dello Stato riscuoteranno complessivamente 59,3 miliardi di euro.

  • Rimaniamo tra i più tartassati in UE

Nel 2024[1] la pressione fiscale in Danimarca era al 45,4 per cento del Pil, in Francia al 45,2, in Belgio al 45,1, in Austria al 44,8 e in Lussemburgo al 43. Tra tutti i Paesi dell’UE, l’Italia si posizionava al sesto posto con un tasso del 42,6 per cento del Pil. Se tra i nostri principali competitor commerciali solo la Francia presentava un carico fiscale superiore al nostro, gli altri, invece, registravano un livello nettamente inferiore. Se in Germania il peso fiscale sul Pil era al 40,8 per cento (1,8 punti in meno rispetto al dato Italia), in Spagna addirittura al 37,2 (5,4 punti in meno che da noi). Il tasso medio in UE, invece, era al 40,4, 2,2 punti in meno della nostra media nazionale.

  • Record dell’ “oppressione” fiscale

Oltre ad avere un carico fiscale tra i più elevati d’Europa, l’Italia è il Paese, assieme al Portogallo, dove pagare le tasse è più difficile, in particolar modo per le imprese. Secondo le ultime statistiche elaborate dalla Banca Mondiale[2], i nostri imprenditori “perdono” 30 giorni all’anno (pari a 238 ore) per raccogliere tutte le informazioni necessarie per calcolare le imposte dovute; per completare tutte le dichiarazioni dei redditi e per presentarle all’Amministrazione finanziaria; per effettuare il pagamento on line o presso le autorità preposte. In Francia per espletare le incombenze burocratiche derivanti dal pagamento delle tasse sono necessari solo 17 giorni (139 ore), in Spagna 18 (143 ore) e in Germania 27 (218 ore), mentre la media dell’Area dell’Euro è di 18 giorni (147 ore). I dati si riferiscono a una media impresa (società a responsabilità limitata), al secondo anno di vita e con circa 60 addetti.

  • L’evasione comunque è in calo

Nel 2024 l’Agenzia delle Entrate ha recuperato dalla lotta all’evasione fiscale 33,4 miliardi di euro; una cifra che costituisce un record assoluto. A questa buona notizia se ne affianca un’altra: secondo il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) l’evasione è in calo[3]. Se nel 2017 toccava i 108,4 miliardi di euro, nel 2021, ultimo anno in cui il dato è disponibile, è scesa a 82,4 miliardi (vedi Graf. 1); di cui 72 sono ascrivibili al mancato gettito tributario e gli altri 10,4 sono il “frutto” dell’evasione contributiva. Sebbene non possiamo contare su oltre 82 miliardi di euro di entrate tributarie e contributive ogni anno, negli ultimi tempi l’Amministrazione finanziaria italiana ha imboccato la strada giusta e per gli evasori la vita è diventata molto più difficile. Grazie all’applicazione della compliance fiscale[4], dello split payment[5], della fatturazione elettronica e dell’invio telematico dei corrispettivi, una serie di contribuenti – tra cui gli evasori seriali, chi riceveva i pagamenti dallo Stato per un servizio o una prestazione lavorativa resa e poi non onorava il pagamento dell’Iva e, infine, i professionisti delle cosiddette “frodi carosello”[6] – sono stati indotti a ravvedersi. Certo, il lavoro da fare rimane ancora molto, ma le misure messe in campo in questi ultimi anni stanno riscuotendo un buon successo.

  • In valore assoluto è al top in Lombardia, in percentuale, invece, il picco massimo è in Calabria

Se “regionalizziamo” gli 82,4 miliardi di euro[7] di evasione fiscale stimati dal MEF (vedi Graf. 1), l’area geografica che in valore assoluto registra l’evasione più elevata d’Italia è la Lombardia con 13,6 miliardi. Seguono il Lazio con 9,2 e la Campania con 7,7. Rammentando che la Lombardia conta quasi 10 milioni di abitanti – mentre il Lazio e la Campania rispettivamente 5,7 e 5,6 – da un punto di vista comparativo è certamente più “corretto” misurare in mancato gettito imputabile agli evasori, calcolando l’incidenza percentuale dell’evasione sul gettito tributario e contributivo incassato in ciascuna regione. Ebbene, se decidiamo di utilizzare questa modalità, il tasso di evasione più elevato si attesta al 20,4 per cento e riguarda la Calabria. Al 19,1 scorgiamo la Campania, al 18,7 la Puglia e al 18,3 la Sicilia. L’area più “fedele” al fisco d’Italia, invece, risulta essere la Provincia Autonoma di Bolzano con un tasso dell’8,6 per cento. La media Italia è al 12,5 per cento (vedi Tab. 5).

  • Chi non paga si sconfigge con un fisco più efficiente

Per avere la meglio sugli evasori bisogna continuare a sfruttare in modo sempre più efficiente i dati detenuti dall’Amministrazione fiscale, al fine di ottimizzare i controlli su fenomeni che, secondo le valutazioni dell’Agenzia delle Entrate, presentano elevati livelli di rischio. Tra questi si annoverano: le frodi IVA; l’uso improprio di crediti inesistenti e/o aiuti economici non dovuti; la fittizia dichiarazione di residenza fiscale all’estero; e l’occultamento di patrimoni al di fuori dei confini nazionali[8].

[1] Ultimo anno in cui i dati ci consentono di fare una comparazione tra i paesi europei

[2] Doing Business 2020

[3] Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva. Anno 2024, pag. 5.

[4] Prassi introdotta con la legge n° 190/2014 in base alla quale l’Agenzia delle Entrate con apposita comunicazione informa il contribuente su possibili irregolarità invitandolo a verificare e a ravvedersi, incentivando così l’assolvimento spontaneo degli obblighi tributari e favorendo l’emersione spontanea delle basi imponibili.

[5] Detta anche scissione dei pagamenti, è una forma di liquidazione Iva. Questo provvedimento prevede che, nei rapporti tra aziende/professionisti e la Pubblica Amministrazione, sia quest’ultima a trattenere e versare l’imposta relativa alla transazione. Questa procedura, diventata operativa a partire dal 1° luglio 2017, devia dalla regola generale secondo cui l’Iva viene addebitata in fattura al cliente e poi versata alle casse dell’Erario dal fornitore impone invece che sia la Pubblica Amministrazione a farlo direttamente.

[6] E’ un’operazione fittizia o inesistente che avviene tra varie società in UE appositamente create a questo scopo. Questo tipo di illecito termina nella richiesta di rimborso Iva non spettante.

[7] L’ultimo anno disponibile è il 2021

[8] Audizione del Direttore dell’Agenzia delle Entrate e dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione, Avv. Ernesto Maria Ruffini, Senato della Repubblica 6ª Commissione Finanze e Tesoro, Roma, 27 febbraio 2024, pag. 12.


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SPID sotto attacco: così il furto dell’identità digitale passa per trappole invisibili

Nel pieno della digitalizzazione dei servizi pubblici italiani, SPID è diventato molto più di un semplice sistema di autenticazione: è la chiave di accesso a dati personali, pratiche amministrative e diritti fondamentali. Ed è proprio questa centralità a renderlo oggi uno degli obiettivi più ambiti della criminalità informatica. Negli ultimi mesi, i casi di frode legati a SPID si sono moltiplicati, svelando una vulnerabilità non tanto nei sistemi informatici quanto nelle abitudini e nella consapevolezza degli utenti.

Il meccanismo è spesso subdolo e ingannevole. Arriva un SMS che sembra provenire dall’Agenzia delle Entrate o da un ente previdenziale, corredato di logo istituzionale e link plausibile. Il cittadino, spinto dalla fretta e dalla fiducia negli strumenti digitali, clicca senza troppe verifiche. Il resto lo fa l’ingegneria sociale: pagine di phishing ben costruite e messaggi automatizzati trasformano in pochi minuti dati sensibili e credenziali in strumenti per rubare l’identità.

Tra le frodi più insidiose c’è quella del cosiddetto doppio SPID, ossia la creazione di una seconda identità digitale a nome della vittima, attivata presso un altro Identity Provider sfruttando informazioni personali già trafugate. A rendere il tutto possibile sono falle procedurali nell’identificazione remota: selfie manipolati, documenti digitali alterati e una carenza di notifiche tra i vari gestori dell’identità digitale permettono ai criminali di muoversi indisturbati.

Il risultato è devastante: un truffatore può accedere al fascicolo sanitario elettronico, cambiare IBAN per ricevere bonifici o presentare pratiche INPS a nome della vittima. E spesso ci si accorge dell’attacco solo quando è troppo tardi.

La questione solleva interrogativi non solo tecnologici, ma anche giuridici e culturali. Chi è davvero responsabile di queste frodi? Quanto pesa l’ingenuità dell’utente rispetto alle lacune degli operatori? E soprattutto: quali strumenti concreti abbiamo per prevenire e contrastare questi fenomeni?

Se la tecnologia, sulla carta, è solida, è l’ecosistema a mostrarsi fragile: mancano campagne di sensibilizzazione efficaci, procedure di sicurezza uniformi tra i gestori SPID e sistemi di allerta rapidi per l’utente. In questo contesto, la prevenzione passa tanto dal rafforzamento dei protocolli tecnici quanto dalla formazione digitale dei cittadini, oggi più che mai indispensabile.


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Intercettazioni e difesa: accesso ai files di log solo con richiesta motivata

Il diritto alla difesa si confronta con le nuove frontiere del processo penale digitale. La Corte di Cassazione, con una recente sentenza (n. 18464/2025), ha stabilito che i files di log relativi alle intercettazioni — quei registri digitali che tracciano le attività di captazione e ascolto — sono equiparabili alle registrazioni audio, ma il loro rilascio alla difesa non è automatico. Per ottenerne copia, occorre formulare una richiesta sorretta da motivazioni concrete, indicando quale specifico interesse difensivo verrebbe leso dal mancato accesso.

Il caso riguardava un indagato per associazione mafiosa, la cui custodia cautelare si fondava esclusivamente su intercettazioni eseguite tramite captatore informatico. La difesa aveva eccepito la violazione del diritto di ottenere copia dei files di log — strumenti ritenuti essenziali per verificare eventuali anomalie nell’acquisizione dei dati — sostenendo che il diniego ne pregiudicasse il diritto di difesa.

La Suprema Corte ha però rigettato il ricorso, chiarendo che, pur riconoscendo ai files di log pieno valore probatorio, la richiesta di copia deve essere giustificata da specifiche contestazioni o da ragioni difensive precise. Una richiesta meramente esplorativa, priva di indicazioni su possibili vizi o manipolazioni delle captazioni, non è sufficiente a ottenere il rilascio.

Stessa sorte per un ulteriore motivo di ricorso, con cui si contestava il mancato rispetto della regola che assegna al difensore l’ultima parola in udienza. I giudici di legittimità hanno ribadito che, nelle udienze di riesame cautelare, tale disciplina non si applica.

Una pronuncia che non mancherà di far discutere. Se da un lato la Corte ribadisce il valore dei files di log come vere e proprie “impronte digitali” delle intercettazioni, dall’altro restringe l’accesso difensivo a questi documenti essenziali, subordinandolo alla dimostrazione di un interesse concreto.


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Fisco, slittano al 21 luglio i versamenti per 4,6 milioni di partite IVA

Slittano al 21 luglio i termini per il versamento delle imposte per circa 4,6 milioni di partite IVA. È quanto prevede il decreto fiscale approvato ieri dal Consiglio dei ministri, che accoglie così le richieste delle categorie professionali e delle imprese preoccupate per le scadenze concentrate a fine giugno. Nessuna maggiorazione fino a quella data; dal 22 luglio al 20 agosto scatterà invece l’aggiunta dello 0,4%.

La proroga riguarda i versamenti legati alle dichiarazioni dei redditi, IVA e IRAP per i soggetti che esercitano attività economiche con indici di affidabilità fiscale approvati (i cosiddetti Isa) o per chi rientra in regimi agevolati, compresi forfettari e minimi.

Con il provvedimento vengono inoltre allentate alcune strette fiscali. Le spese di trasferta, ad esempio, dovranno essere tracciabili solo se sostenute in Italia, mentre viene ufficialmente cancellato dal 1° luglio lo split payment IVA per le società quotate, in linea con la scadenza dell’autorizzazione europea.

Novità anche per le plusvalenze realizzate da professionisti e studi associati attraverso la cessione onerosa di quote societarie: da ora tassate con un’imposta sostitutiva del 26%.

Il decreto prevede poi interventi nel settore della logistica, con l’estensione del reverse charge ai trasporti, e anticipa l’entrata in vigore di alcune regole per la produzione di vino dealcolato, fissando il via alla data di pubblicazione delle disposizioni attuative.

Sul fronte delle scadenze, prorogato al 31 ottobre il termine per l’invio della documentazione sul disallineamento da ibridi e al 15 settembre quello per le delibere Imu dei comuni.

Soddisfazione da parte dei professionisti. Il Consiglio nazionale dei commercialisti ha accolto positivamente la proroga, considerandola un segnale di attenzione verso le esigenze operative di contribuenti e intermediari, specie in un’estate caratterizzata da importanti novità fiscali.


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Equo compenso degli avvocati: vale solo per il futuro, esclusa la retroattività

Nessuna retroattività per l’equo compenso degli avvocati. A stabilirlo è la Corte di Cassazione, sezione seconda civile, che con un’ordinanza depositata l’11 giugno 2025 (n. 15537) ha precisato i confini temporali della norma introdotta nel 2017 e poi abrogata dalla riforma del 2023.

Nel caso esaminato dai giudici, un avvocato e una banca erano coinvolti in una lunga controversia sui compensi per attività di recupero crediti svolte anni prima. Tra le parti, nel tempo, erano stati siglati diversi accordi tariffari. Tuttavia, il professionista aveva contestato una clausola che fissava compensi inferiori ai minimi previsti dalla legge, sostenendo la sua nullità per violazione della normativa sull’equo compenso.

La Suprema Corte ha però respinto il ricorso, rilevando che tutte le prestazioni oggetto di causa si erano concluse prima del 1° gennaio 2018, data di entrata in vigore della norma. Essendo la disposizione priva di natura interpretativa e non retroattiva, non può incidere su rapporti professionali ormai chiusi né su prestazioni già eseguite.

Inoltre, la Cassazione ha ricordato che il diritto al compenso minimo può essere oggetto di rinuncia da parte dell’avvocato, sia prima che dopo la maturazione del diritto stesso. Nel caso in esame, gli accordi con la banca risalivano a un’epoca anteriore e risultavano sottoscritti su testi predisposti dal legale.

La sentenza ribadisce infine che eventuali clausole tariffarie in contrasto con l’equo compenso, laddove applicabile, sono nulle, ma sottolinea che il giudicato su una questione di compensi non si estende automaticamente ad altri contenziosi simili, a meno che non vi sia perfetta coincidenza di situazioni e decisioni pregresse.


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Identità digitale, l’Italia corre: superati i 17 milioni di CIE e 9 milioni di documenti su It Wallet

L’Italia accelera sulla digitalizzazione e centra in anticipo i traguardi fissati dal PNRR per l’identità digitale. Lo conferma il sottosegretario all’Innovazione Alessio Butti, che ha illustrato i numeri del settore: oltre 17 milioni di carte d’identità elettroniche rilasciate, più di 9 milioni di documenti caricati su It Wallet e una forte crescita dei download dell’app CIE ID, passati a 5,3 milioni. Anche gli enti che consentono l’accesso con CIE sono più che raddoppiati, superando quota mille.

«L’Italia oggi è tra i Paesi più avanzati d’Europa su questo fronte — ha dichiarato Butti — e possiamo contare su una delle piattaforme più potenti del continente». Il sottosegretario ha sottolineato come la CIE offra maggiori garanzie rispetto allo SPID: è gratuita, più sicura e gestita direttamente dallo Stato. Inoltre, integra mondo fisico e digitale con un’identità ufficiale valida anche offline.

Accanto alla CIE, il governo ha puntato su It Wallet, già attivo per 5 milioni di italiani. Recentemente è stato rilasciato un aggiornamento che consente di utilizzare i documenti anche senza connessione internet. L’Italia, ha ricordato Butti, ha un ruolo centrale nei progetti europei sull’identità digitale interoperabile.

Intanto è arrivato anche il via libera alla registrazione della Corte dei Conti sulla convenzione che sblocca 40 milioni di euro destinati agli identity provider SPID. Proprio oggi, AgID e i gestori si incontrano per discutere le nuove modalità operative.

Sul tavolo del governo restano però dossier complessi, in particolare quello delle reti di telecomunicazioni. Dopo l’ingresso dello Stato in TIM come primo azionista, il settore è in fermento. «Serve superare una visione settoriale e lavorare su una filiera integrata — ha spiegato Butti — anche perché le nuove tecnologie, dall’intelligenza artificiale al cloud fino alle reti quantistiche, stanno ridisegnando il futuro delle comunicazioni».

A breve, infatti, sarà presentata una strategia nazionale sulla tecnologia quantistica, con applicazioni nella sicurezza informatica, nella crittografia post-quantum e nella distribuzione delle chiavi crittografiche. Un futuro che, come osserva il sottosegretario, «sembra fantascienza, ma è già dietro l’angolo».


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Cassazione: niente TFR mensile in busta paga senza una causale specifica

Con la sentenza n. 13525 del 2025, la Corte di Cassazione ha chiarito che il datore di lavoro non può corrispondere il TFR mensilmente in busta paga al dipendente senza il rispetto delle condizioni previste dalla legge. L’anticipazione del trattamento di fine rapporto, infatti, ha natura eccezionale e può essere concessa solo in presenza di specifiche causali tipizzate o, eventualmente, di condizioni di miglior favore purché giustificate.

Il caso riguardava una società che, sulla base di un accordo individuale siglato in sede di assunzione, erogava ai propri dipendenti quote di TFR mensili. Secondo la Cassazione, questa prassi viola la funzione stessa dell’anticipazione, che per legge deve essere una deroga episodica alla regola della liquidazione al termine del rapporto di lavoro.

La Corte ha escluso che la possibilità di derogare ai presupposti di legge, prevista dall’articolo 2120 del Codice civile, consenta di introdurre un’erogazione mensilizzata del TFR in assenza di una causale specifica. Inoltre, ha respinto l’idea che un precedente giurisprudenziale del 2007 potesse legittimare tale pratica.

La posizione dei giudici appare in linea con una recente nota dell’Ispettorato nazionale del lavoro, che aveva segnalato i rischi di una simile interpretazione. Tuttavia, alcune perplessità restano: il principio di autonomia contrattuale, infatti, potrebbe teoricamente consentire intese più flessibili, purché motivate dall’interesse personale del lavoratore.

Infine, la sentenza chiarisce anche l’aspetto contributivo: erogare il TFR mensile senza causale non trasforma automaticamente quelle somme in retribuzione soggetta a contribuzione, ma potrebbe configurare un indebito oggettivo, con la possibilità per il datore di richiederne la restituzione.


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